martedì 17 aprile 2012

"Arricchito e pensoso dopo la lettura"

Ricevo e volentieri pubblico le impressioni del "collega" Ezio Baracco.
 
Ho letto "Canto per due stagioni". Bravo. Veramente una buona lettura. Mentre lo stavo leggendo pensavo: "Ecco un libro scritto bene". E con questo non voglio solo dire che hai fatto un buon uso della lingua. Cosa che per uno scrittore dovrebbe essere scontata benchè, purtroppo, troppe volte non sia così. Intendo dire che hai saputo trovare un ritmo narrativo, un "suono" (o uno stile per essere più esatti) che funziona.

Si intuisce, credo, una formazione fenogliana, specie nel secondo racconto, che reinterpreti con gusto personale. E non è poco. Poi mi è piaciuto perchè le storie non sono fini a se stesse, come troppo spesso avviene, secondo la logica imperante della fiction che frequentemente si trasferisce anche in letteratura. Dietro di esse sta qualcosa d'altro: il cammino difficile e contraddittorio della crescita, la necessità di valori, il conflitto fra generazioni, il misterioso scorrere del tempo e della storia e tanto altro. Così si esce arricchiti e pensosi dalla lettura pescando in se stessi cosa ci ha toccato. So che sei giovane: continua a scrivere, il tuo modo di guardare il mondo è acuto e,se posso dir così, anche pieno di una profonda empatia, quasi una compassione per il mondo, che sarebbe un peccato non coltivare.

martedì 7 febbraio 2012

"Catturata dalle storie"

Un libro deve catturare. Devi avere la sensazione di scivolare nella storia raccontata. In Canto per due stagioni, che racchiude appunto due romanzi, mi sono ritrovata "virtualmente" nelle situazioni raccontate.
 E l'altra cosa che mi ha conquistata è stato anche il minimo comun denominatore: due storie immerse con sapienza vuoi nel passato, vuoi nel cortile di una casa di campagna, dove vivono giovani alle prese con miti e utopie, in un costante confronto con la realtà della vita, le sue illusioni, le sue disillusioni.
 E con il coraggio - la curiosità - di percorrerla.

Gloria Ghisi

lunedì 6 febbraio 2012

"Un libro fatto di emozioni e di estetica"

Un bel libro deve saper toccare delle corde nell'intimo di una persona, emozionare, far riflettere, far sorridere o piangere. Ma, per quanto mi riguarda, è anche un fatto estetico, e di forma: saper descrivere un odore, un sapore, una sensazione. Scegliere i verbi giusti, trovare sinonimi, reinventare la lingua, piegandola ai propri scopi narrativi. Ecco, quando penso: "Questa descrizione è esattamente come l'avrei fatta io, se ne fossi stata capace", so di aver incontrato uno scrittore.
È quello che credo sia Christian, ed è quello che ho cercato - tra le altre cose - di trasmettere al pubblico di Gaggiano, sabato pomeriggio.

Valeria Verri

giovedì 26 gennaio 2012

I due piccoli eroi del "Pavese di Lu"


Recensione apparsa su "Il Piccolo" di Alessandria del 13 gennaio 2012

Che sia una penna felice lo sanno i suoi compaesani, fedeli lettori del mensile "Al pais d’Lu", ma anche coloro i quali si sono imbattuti nel suo primo libro, "L’eredità del padre".
Ora, però, Christian Isola, nato a Torino, adottato da Milano ma assolutamente luese in tutto e per tutto, torna... sugli scaffali con una nuova opera, che in realtà sono due, perché racchiusi dal titolo "Canto per due stagioni" (edizioni Araba Fenice), si sviluppano i racconti "L’ultimo settembre" e "La primavera di Tino".


Sono storie dal sapore antico, proposte con tratto moderno, asciutto.  Storie che invitano alla riflessione, che si portano appresso un senso di nostalgia e che, in certi tratti, profumano di Monferrato, terra che fa non solo da sfondo ma che entra a pie’ pari nelle vicenda, come nel brano che ha per protagonista Alfio, un ex partigiano che torna al paese dopo moltissimi anni. Pensava, lui, di trovare tutto come prima, un luogo appiattito, ingoiato dalla routine, placido e senza trasgressioni. Scopre invece che la corruzione della  modernità non ha risparmiato neppure la campagna e che noia e benessere, «cancro silenzioso che affligge tutta la modernità», si mescolano tra tensioni, incomprensioni, silenzi. «L’ultimo settembre è la mia piccola ‘Luna e i falò’» dice Isola, citando Pavese che, come Fenoglio, fa parte del suo bagaglio culturale.

Il secondo racconto, "La primavera di Tino", ha un’ambientazione differente: la Torino degli anni Settanta, quella in cui vive Tino, figlio di un operaio e di una portinaia. La sua vita - anzi: il suo modo di concepire la vita - cambia quando incontra Flavio, un ragazzo ribelle con genitori hippy e un presente piuttosto sopra le righe.  «Sono due piccoli eroi, sia Alfio che Tino - spiega l’autore - due avventurieri della normalità che cercano un equilibrio che dia un senso alle stagioni estreme della vita». È l’equilibrio che tutti dovremmo cercare, forse.
Massimo Brusasco

venerdì 13 gennaio 2012

"Un equilibrato gioco di delicatezza e forza"

Ricevo e pubblico la recensione spassionata di una lettrice che ha particolarmente apprezzato "L'ultimo settembre".

Dolce e romantico, "L'ultimo settembre" è un diario scritto tra un equilibrato gioco di delicatezza e forza. Con le digressioni dei ricordi di Alfio, l'autore ha condotto con molta naturalezza per mano il lettore a mettere ogni tassello di questa intensa storia al proprio posto, in quella campagna che è famigliare un po' a ciascuno di noi.  Ha sollevato il velo e mostrato un mondo e un ambiente che potrebbe essere facilmente quello che chiunque ha conosciuto, personalmente o indirettamente.

Una trama avvincente, mai banale, mai scontata : incentrata sui fatti, quelli attuali e quelli pregressi, per dare un quadro di una famiglia, senza far pesare il "cosa succederà dopo", ma tenedo il lettore sospeso tra la curiosità di sapere come si muovono i protagonisti, e cosa ci sia stato prima che li ha resi così come sono.

Uno svolgimento con un salto di qualità : in questo libro ho trovato non più un "esercizio di scrittura" (come ho personalmente percepito nel primo racconto, e in alcuni passi del libro di esordio "L'eredità del padre"). Ho trovato un romanzo a tutti gli effetti, a tutto tondo. Un uso del capitolo spezzato (che sicuramente fa breccia su qualsiasi lettore) molto ben calibrato, e cui l'autore ha fatto ricorso maggiormente rispetto ai precedenti scritti.

I personaggi, simbolo e simbolici, ma non stereotipati. Assolutamente naturali, o se studiati, resi con molta semplicità d'animo, senza artifici. Chiunque è stato Diego, chiunque ha ritrovato in un'anziana nonna le vecchie maniere dell'Angiulina, o ha percepito la distanza di un padre, la difficoltà di essere una buona madre. I genitori, quanto mai attuali: benché con un occhio esterno compiano degli evidenti errori educativi verso il figlio, e tra loro stessi, sono pienamente umani, e scagli la prima pietra chi può ritenersi migliore. Mi hannno suscitato comprensione: chi non vorrebbe il meglio per il proprio figlio, a volte rendendosi cieco di fronte alle sue vere richieste e grida disperate di aiuto, cadendo nella facile trappola di compensare con il materialismo affetti che non è sempre facile dimostrare. Penso alla Rosa, che ha il torto di voler essere una buona madre, o Cesarino, che non sa come ammettere, a se stesso e alla sua famiglia, che il suo matrimonio è finito, e questo influisce anche sulla sua figura di padre. Lui, vittima due volte: di una moglie insoddisfatta e quindi scontenta, e del suo stesso padre. Quello che ho percepito di lui è stata una latente consapevolezza di essere stato in fondo una delusione anche per Luigi, non essendo tagliato per il mestiere di contadino.

E Diego, il ragazzo che ciascuno di noi ha incontrato nella propria vita: ricoperto di doni, ma privato dell'essenziale. Da un punto di vista prettamente giovanile, ci si può rispecchiare in lui, molti suoi coetanei intraprendono la sua medesima strada, oggi più che mai, per lo stesso sentimento di non essere stato compreso fino in fondo, e di essere stato sovraccaricato di aspettative.

E infine, Alfio: più che uno zio, l'uomo che ciascuna donna vorrebbe conoscere nella vita. Premuroso, rassicurante, attento, dotato di un fine talento a cogliere al volo i sentimenti degli altri.

Una scrittura appassionata, o meglio, un personaggio appassionato, Alfio.

Questo romanzo mi ha conquistata: ho incontrato uno scrittore!

domenica 8 gennaio 2012

"Due racconti universali"

Ricevo e volentieri pubblico le impressioni di Viana Vasquez, mia "esegeta" nella presentazione di Catania dello scorso 10 dicembre

Ho letto ed anche presentati i romanzi di Christian Isola raccolti nel "Canto Per Due Stagioni" e sono subito entrata in sintonia, poichè per una situazione fortuita e fortunata ho vissuto gli anni degli eventi narrati in quei luoghi. Ho apprezzato la qualità del romanzo per la freschezza del racconto e per la scorrevolezza del linguaggio.

 
Il lavoro ha una connotazione ambientale e temporale notevole, un linguaggio realisticamente colloquiale che però nulla toglie al respiro dell'opera. L'autore riesce a cogliere con sensibilità ed attenzione, a penetrare con delicatezza una varietà di stati d'animo, sprigionando un'autenticità di valori per cui ogni dimensione temporale e spaziale sparisce e l'evento diventa "universale".
La tecnica narrativa usata sembra avvalersi di fresche pennellate di colore e di luce nel dipingere situazioni di vita "comune" elevandole di tono: la luce, ricorrente nelle immagini, riesce a liberare e a svegliare valori e sentimenti spesso sopiti.


Il romanzo è alquanto coinvolgente: mi sono identificata ora in Tino nella sua frenetica corsa verso l'età adulta, ora in Alfio nella sua nostalgica ricerca del tempo perduto.
Una lettura piacevole!


Viana Vasquez

Istantanee dalla presentazione di Lu



Chi c’era ha scoperto un libro dentro il libro. Non è volata una mosca per un’ora intera, nella sala del consiglio comunale. E se anche fosse volata, si sarebbe posata sulle bocche aperte dei partecipanti, incantate all’ascolto di Leo Rota e dei suoi voli di parole, fatte cadere a picco e poi repentinamente sollevate sui miei due racconti. Collegando le storie di Tino e di Alfio a ricordi personali, tagli di vissuto, sprazzi di anni Settanta e di contemporaneità, di città e di campagna, di brigatismo e di vita agreste, Leo ha saputo far vibrare appena le corde di “Canto per due stagioni” senza però sollevare alcuna melodia precisa, solo accennando qua e là, come un pianista che ripassa lo strumento, quel tanto che basta per incuriosire ad ascoltare la sinfonia intera.

Per me è stato come riscrivere quelle storie una seconda volta, o leggerle per la prima volta. Questa è la sorte inesorabile e mirabile di ogni storia, che non è mai unica, ma può diventare due, dieci, cento storie diverse, secondo quante sono le anime e gli occhi dei lettori che di quelle storie si impossessano. Nessuna storia è proprietà esclusiva di un autore, appartiene a chi la legge e la fa sua.

La sera della presentazione, coricato nel letto, guardando i miei bagagli di nuovo pronti per partire, mi sono venute in mente le parole di Pavese: “Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti.” Mai come allora, queste parole me le sono sentite nella pancia. Grazie a Leo, grazie a tutti quelli che c’erano e a quelli che non c’erano.


sabato 7 gennaio 2012

Breve ma lusinghiera recensione di Gianni Martini su La Stampa

Da LA STAMPA di domenica 11 dicembre:

Canto per due stagioni è romantico e geniale. Due protagonisti, bambino e anziano. Terrorismo del Duemila e partigiani. Non si sfiorano. Cercano l’uno di uscire dall’infanzia, l’altro di decifrarla. Romanzo due. Funerale: “Cesarino uscì al sole reggendo l’Angiulina sottobraccio. Pareva uscisse all’aria dopo cent’anni di prigione, guardava dritta senza vedere nessuno”. Romanzo uno. Genitori: “Li vedevo accostarsi sul divanetto dopo sparecchiato e tacere davanti al televisore come due armadi chiusi a chiave”. Da leggere.

Recensione Gianni Martini